I principali musei archeologici della provincia di Modena
Un viaggio nel tempo per scoprire il passato più antico
Le Terre di Castelli, in provincia di Modena, hanno una storia che parte da lontano. Qui la Preistoria ha lasciato il segno, regalando scoperte uniche nel loro genere, oggi esposte e raccontate presso i musei archeologici del territorio. Che il viaggio nel passato abbia inizio!
Quante volte diciamo che in Italia basta scavare un poco per trovare le testimonianze di un passato lontanissimo? Le Terre di Castelli, la zona collinare in provincia di Modena che si estende da Castelnuovo Rangone fino a Zocca, non è da meno. Nei secoli, scavi programmati o ritrovamenti fortuiti hanno riportato alla luce reperti antichissimi, legati soprattutto alla Preistoria, oggi esposti e raccontati nei musei archeologici della zona.
Bisogna fare una premessa. Non è un caso che questo territorio sia così ricco di testimonianze. Si tratta infatti di un’area popolata – potremmo dire – fin dalla notte dei tempi. Inoltre, al di là delle testimonianze legate ai primi esseri umani che l'hanno abitata, i ritrovamenti hanno restituito anche preziosi fossili animali e minerali, i più antichi risalenti all'era paleozoica. Un tempo difficile anche solo da immaginare, che risale a un intervallo compreso fra 542 e 245 milioni di anni fa: ancora prima della comparsa dei dinosauri!
Grazie ai numerosi ritrovamenti avvenuti nel territorio, gli storici hanno potuto ricostruirne le vicende più antiche. Oggi, gli oggetti e le storie tornate alla luce sono a disposizione di tutti nei musei archeologici delle Terre di Castelli: pronti per cominciare un viaggio nel passato più lontano che ci sia?
Paleontologia e mineralogia a Vignola
Vignola è famosa soprattutto per la ciliegia moretta IGP e la Rocca che domina il paese. Eppure, la sua storia comprende anche fossili e minerali di tutto rispetto, custoditi presso il Museo Civico Augusta Redorici Roffi. I reperti esposti sono stati rinvenuti in particolare nella valle del Panaro – il fiume principale che attraversa il territorio delle Terre di Castelli – e sui primi rilievi dell’Appennino.
Il percorso paleontologico del museo, cioè la sezione dedicata ai fossili, conta alcuni fra gli esemplari più antichi della zona e ci porta a fare un bel ripasso della "linea del tempo" delle ere geologiche. Qui sono custoditi reperti dell'era paleozoica (quella che abbiamo già citato, precedente ai dinosauri), mesozoica (quella, invece, dei dinosauri, che comprende il famoso Giurassico) e cenozoica che include, fra gli altri, il Pliocene e il Pleistocene. Quest'ultimo periodo è compreso fra 2 milioni e 100.000 anni fa, e ha visto la comparsa dell’uomo sulla terra. Per dare un altro piccolo riferimento, il Pleistocene si conclude con il Paleolitico, cioè l’età della pietra antica.
I reperti di Vignola sono dunque testimoni di una storia così lontana da sembrare inafferrabile, eppure allo stesso tempo sotto gli occhi di tutti i visitatori. Fra i pezzi forti della collezione, figurano la mandibola di un tapiro del Pliocene, custodito nella sezione "Il Panaro a Vignola", e il rostro di un ittiosauro, un grosso rettile marino dell’era mesozoica. Oltre ai fossili, non dimentichiamo i minerali: campioni di antiche rocce che testimoniano i cambiamenti geologici avvenuti nella zona nel corso dei millenni.
Se siete affascinati da fossili e reperti, non potete restare indifferenti davanti alla maestosità della geologia. Le guglie di arenaria del Parco dei Sassi di Roccamalatina dominano quest’area protetta, ricca di percorsi tutti da scoprire, e hanno un’origine antichissima: pensate che si sono sedimentate nel Cretaceo, ben 90 milioni di anni fa!
I viaggi nel passato non si fanno solo con l’archeologia o la paleontologia, ma anche attraverso gli alberi. A Monteombraro di Zocca, una tappa d’obbligo a metà fra storia e natura è l’imponente castagno secolare. Secondo gli studiosi ha un’età compresa fra i 600 e i 1000 anni e, stando alla leggenda, le sue chiome hanno regalato ombra e ristoro a personaggi illustri, fra cui Matilde di Canossa.
I fenomeni geologici modellano da sempre il paesaggio che ci circonda. Alcuni risultano essere davvero fuori dal comune, come le "Salse", un originale fenomeno di tipo vulcanico a cui si può assistere in località Ospitaletto, nel comune di Marano sul Panaro. Qui, un misto di acqua salata e gas ribolle sottoterra fino a uscire in superficie, formando particolari coni di fango scoppiettanti.
L’Elefante e la Venere
Restiamo un attimo nel Pleistocene, più o meno 2 milioni di anni fa, e spostiamoci di pochi chilometri e sull’altra sponda del fiume, a Savignano sul Panaro. Qui è possibile visitare due particolari musei archeologici: il Museo della Venere e dell’Elefante. Il loro nome potrebbe far pensare a una favola di Esopo, e invece si riferisce ai due principali ritrovamenti avvenuti nell’area modenese.
Il protagonista del Museo dell’Elefante è uno scheletro di mammut, l'elefante preistorico vissuto proprio nel Pleistocene. Per essere precisi, l’esemplare di Savignano è un'elefantessa dalla mole imponente, unico ritrovamento di questo tipo in tutta la valle padana.
Ma il mammut non è l’unica "star" del luogo: deve infatti condividere le luci della ribalta con la Venere di Savignano. Per scoprire di cosa si tratta, facciamo un salto in avanti nel Paleolitico, all’inizio dell’età della pietra. In questo periodo l’uomo ha già sviluppato precise caratteristiche: è semi-nomade, vive di raccolta e di caccia, fabbrica strumenti in pietra. Eppure, lascia in eredità ai posteri non solo punte di freccia e pietre scheggiate, ma anche piccoli manufatti artistici. Fra questi, le famose "veneri steatopigie": statuette raffiguranti donne con attributi femminili molto marcati. Molto formose, diremmo oggi, forse simbolo di fertilità.
Una delle preziose statuette preistoriche è stata rinvenuta proprio nella zona di Savignano sul Panaro. Benché l’originale si trovi al Museo Pigorini di Roma, il Museo della Venere di Savignano ci offre una bella panoramica su questo tipo di raffigurazioni paleolitiche, emerse dal sottosuolo in più zone d’Europa (la più nota è l’austriaca Venere di Willendorf).
La vita in una Terramara
Se continuiamo il ripasso della “linea del tempo”, ricorderete che dopo il Paleolitico è il turno del Neolitico, l’ultima fase dell’età della pietra. Dopodiché, l’uomo comincia a lavorare i metalli: si parla quindi di età del rame, del bronzo e del ferro. Per la prossima tappa, fermiamoci all’età del bronzo più recente, fra il 1650 e il 1200 a.C., e dirigiamoci a Montale, nel comune di Castelnuovo Rangone.
Qui non si parla più di fossili, utensili, minerali o scheletri di animali preistorici. Qui, presso il Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, ci troviamo davanti a un vero e proprio insediamento preistorico, con la ricostruzione fedele di ambienti e attività del passato. Un museo dalla forte valenza evocativa e didattica per scoprire come si viveva nell'Emilia dell’età del bronzo, ricco di attività educative e ludiche rivolte a bambini di tutte le età.
Due sono le caratteristiche principali (e uniche) del luogo. La prima, quella di essere uno dei pochissimi musei archeologici "open air" in Italia. La seconda, quella di testimoniare un tipo di insediamento preistorico tipico dell’area emiliana e della bassa Lombardia: la Terramara. Come ci racconta il museo, gli abitanti delle Terramare costruivano le proprie case su piattaforme sopraelevate, piantate nel terreno, circondando l’abitato con terrapieni e fossati. E non è un caso che il museo sorga a Montale: proprio qui, nel passato, furono scavati i resti di un villaggio terramaricolo, un ritrovamento più unico che raro.
Archeologia a Spilamberto
Per concludere il nostro viaggio nel passato fra i musei archeologici delle Terre di Castelli, approdiamo all'Antiquarium di Spilamberto. Qui, tutto comincia grazie al fiume Panaro, già protagonista anche nel Museo Civico di Vignola. Negli anni, il greto del fiume ha restituito reperti di ogni genere, che spaziano dal lontano Pleistocene fino all'epoca romana passando per l’età del bronzo.
Gli studi compiuti su questi ritrovamenti e i reperti esposti testimoniano la continuità dell'insediamento umano nella zona. Punte di freccia, corredi funerari, sepolture a inumazione, vasi a bocca quadrata del Neolitico, tracce di suddivisioni agrarie e pozzi d’acqua d’epoca romana: sono solo alcune delle meraviglie qui esposte che la terra ha restituito. Meraviglie che, ancora una volta, ci dimostrano come la vita di oggi sia il frutto di un percorso lunghissimo, misterioso e appassionante, che tuttora ci fa galoppare con l’immaginazione. E i musei archeologici delle Terre di Castelli sono il luogo ideale per sognare a occhi aperti un passato vertiginosamente lontano, ma che quasi si può toccare grazie ai numerosi e singolari reperti che custodiscono.